IL POPOLO MIGRATORE SIAMO NOI

English version below

Se volete mettermi in difficoltà, chiedetemi da dove vengo. Dover rispondere a questa domanda m’imbarazza molto ma soprattutto non mi riesce mai dare la stessa risposta. Ci provo, però si sente che stringo i denti mentre tento di identificare la mia provenienza. Sembra quasi che sia ricercata tanto faccio fatica a spiccicare parola. In fin dei conti potrei essere romana, campana, emiliana, friulana, triestina, piemontese o pugliese doc. Insomma, avrei una vasta possibilità di scelta. Va bene sì, probabilmente il mio accento almeno un po’ mi tradirebbe. Ricapitolando, e cercando di tracciare uno storico si potrebbe dire che non appartengo ad alcun luogo, per il momento. Di nascita friulana, mi dicono che ho trascorso i primi due anni di vita a Udine, ridente città vinicola. L’affetto per l’uva pestata si può dire “d’imprinting”. Genitori di origine Umbra e Veneta. Girovaghi per necessità fino alla mia nascita. Sei anni a Vicenza, e dieci successivi in un paese in periferia. Subito dopo, Venezia, Lisbona, Padova, e infine, ma non ultima, Milano.

Buffo.

“Dimmi da dove vieni e ti dirò chi sei.”

Ogni tanto, credo di sapere chi sono, ma con assoluta certezza, non so da dove vengo.

Sono di sangue migrante.

Colui che vive sospeso.

Sospeso tra il luogo e il non luogo.

Sospeso tra l’andare e il venire.

Sospeso tra il rimanere e il partire.

Sospeso tra date di scadenza.

Sospeso nel tempo, nel luogo e nell’identità.

“… sono migranti tutti coloro che hanno bisogno di spazio per la loro esistenza, ma a cui I dispositivi di controllo sui loro spostamenti o sulle loro stanzialità sottraggono in parte la necessaria adesione allo spazio, rendendo la loro collocazione, per così dire, sospesa. Il participio presente del verbo migrare che racchiude il paradosso di rendere duratura un’azione momentanea, quella di uno spostamento da uno spazio a un altro, oltre a rimandare più di altri termini alla scelta e all’azione del soggetto che compie tale spostamento, descrive anche questa posizione sospesa… È migrante, allora, colei o colui che si sta spostando. Ma è migrante anche colei o colui che è arrivata/o e che sta, spostando lo spazio del suo luogo di arrivo. Ed è migrante, pure, colei o colui che non si è mai spostata/o in senso letterale, ma che ha bisogno di attuare uno spostamento dello spazio… ”[1]

L’azione migratoria è biologicamente parte degli esseri viventi, e dell’uomo fin dalla sua nascita. Le migliori condizioni di vita e l’ingegno dell’uomo hanno circoscritto il nuovo stile di vita stanziale.

“le migrazioni sono spostamenti che gli animali compiono in modo regolare, periodico (stagionale), lungo rotte ben precise (e in genere ripetute), e che coprono distanze anche molto grandi, ma che poi, sono sempre seguite da un ritorno alle zone di partenza. Sono indotte da cause legate alla riproduzione, oppure da difficoltà di carattere ambientale che si presentano periodicamente”.

La migrazione è quindi, storicamente, un atto collettivo, organizzato, pensato e svolto da più  soggetti contemporaneamente verso una destinazione comune, un obiettivo comune. È nata però un’altra tipologia di migrante, colui che compie l’azione singolarmente, individualmente, senza sostegno, appoggio, o l’esempio di una comunità.

I migranti di oggi non si contano, sono frammentati, dispersi, s’incontrano casualmente. Non appartengono, o non riescono ad appartenere ad alcuno e a nessun luogo.

“Non s’appartiene a un luogo sino a che non hai i tuoi morti sotto quella terra.” [2]

Gli uccelli si preparano a una migrazione necessaria per la sopravvivenza della specie, si preparano ad affrontare il viaggio. Sapendo che dovranno ritornare ai luoghi in cui sono nati, alle origini.

“La promessa del ritorno annuncia una nuova primavera.”[3]

Un migrante non si sposta con la certezza e la volontà definita di tornare alle proprie origini, perché non sempre è conscio di dove risiedono. A lungo andare le origini si confondono le une con le altre, ritrovandosi così a mollo in un’acqua tiepida e cullante. In un’identità geografica globalizzata e in continua contaminazione, il migrante colleziona identità e origini senza definirsi all’interno di una categoria, di un genere. Diventando, dunque, cittadino del mondo. Autodeterminandosi, attuando un processo di consapevolezza evoluto. Si potrebbe quasi allineare al pensiero della filosofa spagnola, Beatriz Preciado, che ipotizza una cessione di definizione di genere sessuale nell’autodeterminazione universale di essere umano. Un essere umano, per ora, ancora clandestino.[4]

WE ARE THE MIGRATORY PEOPLE

If you want to get me in trouble, ask me where I come from. Having to answer this question embarrasses me a lot but mostly I cannot ever give the same answer. I try, however, it feels that I grit my teeth while I try to identify my origin. It seems like I am sought because I have too much difficulty to say a word. In the end I could be Roman, Campanian, Emilian, Friulian, Triestine, Piedmontese and Apulian doc.

In short, I have a wide choice. Okay, yes, at least my accent  ‘betray me probably a little. In summary, and trying to trace a historical one it can be said that I do not belong to any place, at the moment. Friuli Venezia Giulia nativity, they say that I spent the first two years of life in Udine, a charming wine town. We can consider the affection for the grape stomp, “of imprinting.” My parents come from Umbria and Veneto. Wanderers perforce up to my birth. I spent six years in Vicenza, and the following ten in a small city of the suburbs. Soon after, I moved to Venice, Lisbon, Padua, and last but not least, Milan.

Funny.
“Tell me where do you come from and I will tell you who you are.”
Sometimes, I think to know who I am, but with absolute certainty, I do not know where I come from.

I am a migrant blood.

Who lives suspended.
Suspended between the place and no place.
Suspended between coming and going.
Suspended between remaining and leaving.
Suspended between deadlines.
Suspended in time, place and identity.

 
“…The migrants are who need a space for their existence, but whose necessary adherence to space is, so to speak, suspended by the control devices that monitor their movements and residencies. If the ‘migrant’ is one who is migrating, the label itself carries the paradox of turning a temporary action into an enduring state, that of the movement from one space to another, as well as hinting at the choice and the action of the subject who performs that movement. But in our opinion the word ‘migrant’ also describes the suspended position of migrants. Suspended in space, because an obstacle, a barrier, a limit, a border – whether visible or invisible, juridical, political or social – interferes with a complete adhesion to the territory on the part of women, men and children. And suspended in time, because an obstacle, a barrier, a limit, a border blocks the transfer, preventing the completion of the movement, considered as movement from one place to another place, and preventing it from reaching a final moment. Or suspended in time also because more subtle and invisible barriers and confinements superimpose a residue of the not-yet to the concluding moment… A migrant, then, is one who is moving… But also one who has arrived and is, so to speak, shifting the space of his or her point of arrival may also be a migrant And a migrant may also be one who has never moved in a literal sense but who needs to enact a shift in her or his residency space in order to be able to be committed to it… “[1]

The migration action is biologically part of living beings, and human from its birth. The best conditions of life and human’s intelligence have circumscribed the new sedentary lifestyle.

“Migrations are movements that animals make in a regular, periodic (seasonal) along well-defined (and usually repeated) routes, covering large distances, but then, are always followed by a return to the areas departure. Are induced from causes related to reproduction, or by environmental problems that occur regularly. “

Therefore Migration is, historically, a collective act, organized, planned and carried out simultaneously by different subjects to a common destination, a common aim. However it was born another type of migrant, who performs the action individually, without a support, a backing, or the model of a community.

Today (im)migrants are not counted, are fragmented, dispersed, they meet themselves randomly. They do not belong, or cannot belong to anyone and anywhere.

“It belongs to a place until you have your dead under that land.” [2]

Birds prepare themselves for a necessary migration for the survival of the species, are preparing to contend with the trip. Knowing that they will have to return to the places where they were born, to the origins.

“The promise of the return announces a new springtime.” [3]

A migrant does not move with the certainty and the will set to return to their origins, because it is not always conscious about where they reside.

Long run, origins mix together with each other, finding themselves soaked in warm and lulling water.

In a Globalized Geographical identity and ever-contamination, the migrant collects identities and origins no defined with a category, or a gender. Therefore becoming a citizen of the world. Self-determination, implementing a process of evolved awareness. It could almost be true up to the thought of the Spanish philosopher Beatriz Preciado, assuming an ending of the sexual gender definition supplying with the universal self-determination as a human being. A human being even now clandestine. [4]


[2] García Márquez

[3] Jaques Perrin, Il Popolo Migratore/Le Peuple Migrateur, 2001

[4] Vinicio Capossela, In Clandestinità, Da solo,  2008, http://www.youtube.com/watch?v=fD4YT6hJDyk&feature=related

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3 thoughts on “IL POPOLO MIGRATORE SIAMO NOI

  1. FRANZ says:

    ciao erica!
    :) mi piace molto!!
    riesco a vederlo…

  2. erica says:

    “Qualcuno sostiene che tu sia come il posto in cui abiti, o hai abitato nell’infanzia.
    Secondo questa teoria, io nascerei già mista: metà di montagna e metà di vallata.
    Qualche teorico del paesaggio contemporaneo a questo punto riterrebbe volentieri che la mia tendenza alla dispersione abbia origine nel non-luogo dove vivo -ora dove risiedo, mentre un amico giustificava la mia incostanza nelle relazioni anche con luogo di passaggio che è il mio “paese”.
    Effettivamente tutto muta intorno con i mesi che si succedono e le giovani famiglie si trasferiscono ancora, le attività commerciali si alternano nei nuovi palazzi e le rotonde si sostituiscono con tardiva intuizione ai semafori.
    Immagini di appartenenza sono piccoli giardini di cespugli e noccioli, muretti in cemento, porte vetrate e infissi in metallo verde-oro. Cancelli arrugginiti, scalini in cemento consumato; case vecchie del paese ai piedi del monte.
    Mi appartiene – o gli appartengo? Sarebbe appena più vicino alla correttezza – il bosco misto di nocciolo e faggio, i sassi bianchi che lascia il terreno, l’acqua calcinosa del rubinetto.
    Pedemontana. Con 1600metri posso arrivare a quota duemila appena dietro casa. Noi non abbiamo bisogno di torri, né dei vostri campanili.
    Noi non sappiamo parlare, chiusi nelle nostre valli, e le voci si perdono sopraffatte.
    La valle si distende sotto il mio sguardo in un torpore che alleggerisce i volumi e trasforma la visione in una veduta aerea, se non fosse il rumore
    -Cosa si ama del luogo cui si riconosce il cambiare delle stagioni dal mutare delle nuvole in cielo?-
    Si ama il saper riconoscere.
    -Tuttavia, io cambierei.
    L’uomo pretende il suo diritto sulla terra, come il sesso di una donna.
    Uomini di mare cullati in gusci..come siete distanti. Anche lì sui pezzi di legno chiamate terra, di volta in volta,
    francese, spagnola, ..”
    Erica Boito

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